Tegola con l'immagine della Vergine venerata nel santuario della Quercia.
Balcone dal quale i pontefici in visita al santuario impartiscono la benedizione ai fedeli.
Affreschi sull retro dell'edicola in marmo che custodisce la tegola con l'immagine della Madonna.
Il leone di Viterbo inserito nel soffitto della basilica.
Altare sulla parete di fondo della sacrestia.
Stemma della famiglia Farnese inserito nel soffitto della basilica.
Facciata della chiesa con l'imponente gradinata di accesso.
Vuole la leggenda che nel 1417 un fabbro ferraio viterbese, Giovan Battista Iuzzante, per proteggere da ladri e intemperie la sua vigna tra Viterbo e Orte commissionò a mastro Martello, detto Monetto, una Madonna da dipingere su una semplice tegola e la pose sui rami di una quercia. La Vergine avvolge con le braccia il S. Bambino che tiene nella sua destra una rondinella ed appoggia la sinistra sul petto della Madre. Un'epigrafe posta sotto uno degli affreschi di palazzo comunale descrive poeticamente la scena: “La quercia, riconoscendo in quell'immagine la madre del suo Creatore, curvò i rami come per circondarla di venerazione e di culto e la protesse dalle intemperie e dalle ingiurie del tempo”.
Per circa cinquant'anni l'immagine rimase sopra l'albero quasi sconosciuta; un eremita senese, Pier Domenico Alberti, ed una donna viterbese, Bartolomea, tentarono di portarla nelle proprie abitazioni, ma la tegola tornò sempre sulla quercia. Anche un cavaliere viterbese fu testimone di un prodigio: assalito lungo la strada, si inoltrò nei boschi per sfuggire ai nemici e, poiché non aveva rifugio né armi ,si gettò ai piedi della quercia pregando la Madonna di proteggerlo ed ottenendo da lei di essere invisibile agli occhi dei nemici.
Dal punto di vista storico i fatti sopra esposti non hanno riscontro, mentre è certo ciò che racconta il cronista Niccolò Della Tuccia, uno dei priori viterbesi dell'epoca: durante i mesi di Luglio ed Agosto del 1467 si abbattè su tutto l'Alto Lazio una pestilenza e molti devoti accorsero sotto la quercia ad invocare pietà. Si riunirono a pregare circa 30.000 persone e dopo nemmeno una settimana, inspiegabilmente, la peste cessò.
A seguito di questi avvenimenti, il 20 Settembre 1467 quasi 40.000 abitanti dell'Alto Lazio, con a capo il Vescovo di Viterbo Pietro Gennari, tornarono a ringraziare la Madonna e, con le numerose offerte fatte dalle varie comunità, si decise di costruire una chiesa. Papa Paolo II diede l'autorizzazione a realizzare una piccola chiesa affidata ai padri Gesuati del Beato Colombini ma appena due anni dopo, nel 1469, la custodia della Sacra immagine passò ai Padri Domenicani e grazie all'enorme quantità di offerte dei devoti si decise di costruire una chiesa più grande che, probabilmente su disegno di Giuliano da Sangallo, venne iniziata nel 1470 a cura del Comune.
La storia e la leggenda che narrano le origini del tempio, oltreché riferite dai cronisti, sono descritte e rappresentate nella sala del Palazzo di Priori, dipinte da un artefice ignoto sulla fine del Cinquecento.
La costruzione del complesso architettonico procedette speditamente e nel 1577 la chiesa venne solennemente consacrata dal cardinal Francesco Gambara dopo che papa Pio V aveva proclamato la Madonna della Quercia protettrice dell'Armata Cristiana che nel 1571 aveva sconfitto a Lepanto la flotta turca. In seguito a questa vittoria Giovanni d’Austria, comandante della flotta cristiana, lasciò ai piedi della Vergine Santissima della Quercia due bandiere turche, dentro la cassettina di legno dove era solito porre il suo vessillo di comandante.
Grazie anche ai Padri Domenicani che la considerarono la loro protettrice, il culto verso la Vergine della Quercia si accrebbe sempre più e si espanse in tutta Italia ed anche in Europa: basti ricordare che padre Enrico Lacordaire, prima avvocato a Parigi durante la Rivoluzione Francese e poi frate Domenicano, le volle affidare l'ordine Domenicano Francese rifondato e portò con sé a Nancy, nel primo convento riaperto in Francia nel 1843, una copia realizzata dal suo amico pittore fra G. Bessòn. Nel 1867 papa Pio IX proclamò Basilica la chiesa della Quercia e nel 1873 lo Stato Italiano prese possesso del complesso che subito dopo venne dichiarato monumento nazionale.
Alcuni dei fatti miracolosi ancor oggi ricordati dalla gente del posto riguardano la seconda guerra mondiale: l'11 febbraio 1944 dodici bombe vennero lanciate su La Quercia, il piccolo paese sorto intorno al santuario, ma non si ebbe nessuna vittima e la chiesa rimase intatta; inoltre 192 soldati partirono da qui per il fronte, alcuni per destinazioni molto lontane, e tutti ritornarono alle proprie famiglie.
La devozione nei confronti della Vergine Santissima della Quercia arriva fino ai giorni nostri e si ravviva ogni anno, la seconda domenica di Settembre, giorno in cui si commemorano i Benefici della Sacra Immagine della Vergine della Quercia e numerose città e paesi, con le loro confraternite, partecipano alla processione di ringraziamento, detta Patto d'Amore. Il Sindaco di Viterbo, a nome di tutti i partecipanti, rinnova la consacrazione antica fatta nel lontano 1467 da tutto l'Alto Lazio.
All'esterno la chiesa, preceduta da una scalinata sul cui ripiano sorgono due pilastri e due colonne, si presenta al visitatore con una semplice e austera facciata cuspidale a bugnato smussato, opera di Carlo di Mariotto e di Domenico di Jacopo da Fiorenzuola (1508); nel timpano del frontone sono scolpiti i leoni dello stemma cittadino che fiancheggiano una grande quercia (1517).
Sulla facciata troviamo tre rosoni e tre portali riccamente decorati, sormontati da lunette di terracotta vetrificata eseguite da Andrea della Robbia nel 1508 e inviate da Firenze per 40 ducati.
A destra, isolata rispetto alla facciata, colpisce l'attenzione un'alta e robusta torre campanaria a tre ordini, opera di Ambrogio da Milano. Le sue due imponenti campane sono state chiamate Agata (1655, circa 35 quintali), e Maria (circa 48 quintali); su quest'ultima, oltre al nome di chi la fuse e all'anno (1578) è riportata in latino questa scritta: “Lodo Iddio vero – chiamo il popolo – aduno il clero – piango i morti – fugo le tempeste - allieto le feste”.
A destra della facciata, in alto, si apre un balcone, la loggia delle benedizioni, con una bella ringhiera goticizzante in ferro battuto a disegno ogivale di mastro Vincenzo da Viterbo (1483), da dove i pontefici benedivano la folla.
L’interno della chiesa è un capolavoro di armonie del Rinascimento, diviso a tre navate da due file di colonne reggenti ampie arcate a tutto sesto; nella navata centrale il bellissimo soffitto a lacunari, realizzato da Giovanni di Pietro detto Pazera (1518-1530) su progetto di Antonio da Sangallo il Giovane, vede lo stemma di Paolo III e i gigli della famiglia Farnese, aggiunti nel 1536 quando a proprie spese il Papa fece realizzare la sfarzosa doratura.
Al centro del presbiterio troneggia l'edicola marmorea di Andrea Bregno (1490), che racchiude la quercia e la tegola miracolosa; nella base del tabernacolo, uno straordinario presepe e, dentro nicchie laterali, S. Paolo, Lorenzo, Pietro e Giovanni; in alto, il Padre Eterno e gli Angeli. Le pitture ai lati e dietro il tabernacolo sono di Michele Tosini (1570), e nella lunetta sopra questo vi è l’Incoronazione di Maria, di C. Gavardini (1866).
Oltre il tabernacolo si apre un grandioso coro, intarsiato da Francesco di Domenico di Zanobi del Tasso e Giuliano di Giovanni detto il Pollastra (1514): esso è ora ridotto ai due terzi della sua primitiva lunghezza, poiché i restauri del 1862 l'hanno diviso con una parete circolare dietro la quale troviamo l'antico altare maggiore cinquecentesco (1580-82), che custodisce una grande tavola con l’Incoronazione di Maria e santi, il cui disegno si deve a fra Bartolomeo della Porta, poi continuato da Mariotto Albertinelli e infine da fra Paolino da Pistoia (1515-1543); dello stesso artista, troviamo nella lunetta sovrastante il Padre Eterno benedicente e angeli (1543). Oltrepassando un magnifico arco trionfale di peperino, si vede un altro piccolo coro di noce sbalzato (1629), mentre nella navata destra troviamo un grandioso organo, dono del cardinal Peretti Montalto (1613). Da questo lato si passa alla sagrestia che presenta armadi in radica di noce (secoli XVII – XVIII) e una volta tutta affrescata da Paolo Noteler (1743-1746).
Il complesso è arricchito da due chiostri, uno del XV e l'altro del XVI secolo. Tramite un portale, opera di Domenico da Fiorenzuola (1502), si accede al primo, a pianta rettangolare con 6 gruppi di arcate nei lati maggiori e 5 in quelli minori. È a due ordini, di cui l’inferiore (1481) di forme gotiche con colonnine binate e recante, sopra ogni gruppo di arcate, un bel rosoncino, mentre il superiore è di forme rinascimentali (1511-1513). Nelle lunette sotto il portico sono affrescati i Miracoli della Madonna della Quercia( prima metà del 1600). Al centro un'elegante cisterna, opera del mastro muratore Bruno di Domenico da Settignano e dello scalpellino Capo Corso (1508). Troviamo poi un secondo chiostro di ordine toscano, appartenente al vicino ex convento, attribuito ad Antonio da Sangallo il Giovane; nel mezzo vi è una fontana (1663) e in alcune lunette degli ambulacri altri affreschi con Miracoli della Madonna della Quercia, opere di Giangiacomo Cordelli (1621), di Franceso Mola (1650) e di Lorenzo Nelli (1667). Dal chiostro si passa al refettorio, ideato da Antonio da Sangallo il Giovane e costruito da Giovanni Battista di Giuliano da Cortona (1518-1539). Nell’antirefettorio due lavamano opera di mastro Camillo da Carrara (1548) con sopra due affreschi di Calisto Calisti (1623).
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Opere consultate:
I. CIAMPI, Cronache e statuti della città di Viterbo, G. P. Viesseux, Firenze 1872
A. NELLI, Origine della Madonna della Quercia di Viterbo, Viterbo 1571.
CESARE PINZI, I principali monumenti di Viterbo, Viterbo, Sette Città, 2a edizione, 1999.
CESARE PINZI, Memorie e documenti inediti sulla basilica di S. Maria della Quercia di Viterbo, Roma 1890
N. TORELLI, Miracoli della Madonna della Quercia di Viterbo e sua Istoria, Venezia 1725.
A. SCRIATTOLI, Viterbo nei suoi monumenti, Viterbo 1988.