Posta sul percorso della via Francigena, l'Abbazia cistercense di San Martino al Cimino spicca, nel suo verticalismo gotico, in mezzo a una schiera di casette tutte uguali, con i tetti degradanti, in un simmetrico esperimento urbanistico ante litteram attribuito all'estro dell'architetto militare Marcantonio De Rossi (1607-1661), forse con una consulenza del Borromini o forse anche del Bernini. Questo particolare disegno urbano è dovuto alla storia che lega il paese al nome di Olympia Maidalchini Pamphilij: cognata di Innocenzo X (al secolo Giambattista Pamphilij), quando questi divenne papa ricevette in dono il borgo e lo volle trasformare in un impianto scenografico il cui centro doveva essere il palazzo reale. Per questo l'abbazia venne parzialmente sostituita dalla corte della principessa Olympia, che fece abbattere vari passaggi e porte per creare accessi alle sale e realizzò addirittura un Teatro in un'ala del complesso.
Di originale restò solo la chiesa e qualche frammento del chiostro; l'epilogo del progetto si ebbe con la morte di Innocenzo X (1655), seguito a breve dalla stessa principessa (1657). Una lapide incastonata nel pavimento del coro ricorda la vita di Olympia Maidalchini Pamphilij, mentre una seconda lapide fu posta vicino alla prima nel 1760 per volere dell'ultimo discendente della casata, Gerolamo Pamphilij, che ottenne di essere sepolto accanto a lei.
L'Abbazia nasce benedettina ed è documentata dall'anno 838, quando un certo Benedetto figlio di Auperto ne fece dono all'abate di Farfa: stando all'atto di donazione, il luogo era inospitale, pertanto il cenobio fu più tardi spostato in una zona più salubre(1045-1048). Nel 1145 il papa cistercense Eugenio III la affidò ai monaci del suo ordine, provenienti da Saint Sulpice in Savoia, ma solo nel 1207, sotto Innocenzo III, venne affidata direttamente alla sua casa madre, l'abbazia di Pontigny (1114). Non è certa la data di avvio della costruzione, forse il 1150 stesso, ma i documenti storici testimoniano che nel 1217 il refettorio era stato ultimato 'da poco', e una colonna all'interno della chiesa riporta lo stemma dei Piccolomini e la data del 1225, da riferire probabilmente alla sua consacrazione da parte del vescovo Raniero Capocci (1212-1244). Il complesso fu ultimato nel 1305.
Solo l'interno della chiesa testimonia ancor oggi l'impianto originario, costruito secondo l'austera regola bernardina, poiché tra il 1300 e il 1600 il complesso subì numerose trasformazioni: Francesco Todeschini Piccolomini (nipote di Pio II e futuro Pio III) nel 1468 fece effettuare dei lavori di consolidamento ed inserire il suo stemma cardinalizio in vari punti della chiesa; dal 1564 al 1645, unito al Capitolo della Basilica di S.Pietro in Vaticano, il complesso fu di nuovo restaurato nei tetti e nelle volte della navata; infine, come si accennava all'inizio, dal 1645 donna Olympia Maidalchini Pamphilij ne fece il centro del suo principato, sostituendo ai monaci un collegio di canonici.
È di questo periodo(1651-1654) l'erezione delle due imponenti torri campanarie, che oggi sembrano voler incorniciare la facciata ma che in realtà furono costruite come contrafforti per contrastarne il rischio di slittamento in avanti verso il sagrato.
Ulteriori restauri furono fatti tra il 1884 e il 1888, altri ancora tra il 1911 e il 1915, mentre nel 1967 venne ripavimentata la chiesa e nel 1973 la sala dei Monaci. Nel 1980 si ebbe il recupero degli gli affreschi della sala capitolare.
La facciata dell'abbazia cistercense si presenta con le sue grandi torri laterali,quadrate alla base e sormontate da cuspidi piramidali: il campanile di destra reca in un tondo una meridiana, mentre su quello di sinistra vi è un orologio. Al centro della facciata una grande vetrata composta da tre rosoni differenti più grandi,e altri più piccoli sotto le monofore che la compongono. Secondo alcuni studiosi, il rosone centrale presenterebbe analogie con il traforo della Loggia dei papi a Viterbo. Il semplicissimo portale è sormontato da un arco a tutto sesto e nella lunetta c'è lo stemma di Innocenzo X Pamphili (tre gigli,la colomba con il ramoscello d'ulivo).
La chiesa, a croce latina è divisa in tre navate, con la centrale più alta rispetto alle laterali; il breve transetto vede aprirsi a est le cappelle che si affacciano sull'abside, la quale è pentagonale (un'anomalia rispetto alle regola cistercense, che la vorrebbe quadrata o rettangolare). La navata centrale, inondata di luce grazie all'imponente vetrata, ha quattro campate quadrate,ciascuna corrispondente a due campate rettangolari nelle navate laterali. I pilastri , diversi tra loro, sono uno quadrato con 4 colonnine addossate, e uno monolitico liscio. Osservando la volta nel punto centrale dell'incrocio del transetto si può vedere un grosso foro da dove, verosimilmente, scendevano le corde per le campane.
La sala capitolare
Detta anticamente sala del trebbio, fu edificata nel 1225 dai monaci cistercensi per volere del cardinale viterbese Raniero Capocci e dall'abate dell'epoca, Giovanni II. È attigua all'attuale sagrestia, nel braccio nord del transetto della chiesa, e si presenta come una sala rettangolare ad unica navata divisa in tre campate, più una aggiunta con i restauri del cinquecento. Lungo tutte le pareti corre una cornice costituita da eleganti coni rovesciati, detti peducci, del tutto simili a quelli della sala capitolare dell'abazia di Pontigny, segno che lavorarono qui le stesse maestranze francesi.
Le decorazioni delle vele, a “grottesche”, sono della seconda metà del '500, mentre gli affreschi del fascione centrale e delle lunette sono databili intorno alla prima metà del '600 e mostrano i possedimenti pamphiljani di Attigliano, Alviano, Monte Calvello, Guardea. Il pavimento è in marmo bianco e nero e fu realizzato da Francesco Borromini.
Dal 1905 la sala è sede della Venerabile Confraternita del SS. Sacramento e S. Rosario.
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Opere consultate:
A. SCRIATTOLI, Viterbo nei suoi monumenti, Viterbo, FAVL Edizioni Artistiche, 1988
C. PINZI, I principali monumenti di Viterbo, Guida per il visitatore, Viterbo, Sette Città, 1993.
L. BONELLI – M. BONELLI, San Martino al Cimino, Viterbo, Beta Gamma editore, 1997.
B. VIVIO – S. LITARRU, Il centro storico di S. Martino al Cimino. Gli abitanti e le case nel catasto gregoriano (1819-1820), Ghaleb Editore, 2004.